Deportazioni sovietiche dalla Lituania

Le deportazioni sovietiche dalla Lituania furono una serie di 35[1] deportazioni di massa effettuate in Lituania, un paese che fu occupato dall'Unione Sovietica nel 1940 e nuovamente nel 1944, divenendo una repubblica socialista. Almeno 130 000 persone, il 70% delle quali donne e bambini,[2] vennero coattivamente trasferite nei campi di lavoro e in altri insediamenti forzati in regioni remote dell'Unione Sovietica, in particolare nell'Oblast' di Irkutsk e nel territorio di Krasnojarsk.[3] Tra i deportati c'erano circa 4 500 polacchi.[4] Questi dati sugli spostamenti non includono partigiani lituani o prigionieri politici (circa 150 000 persone) spedite nei gulag.[5] Le deportazioni dei civili avevano un duplice scopo: piegare la resistenza alle politiche sovietiche in Lituania e fornire manodopera gratuita nelle aree scarsamente abitate dell'Unione Sovietica. Circa 28 000 prigionieri morirono in esilio a causa delle precarie condizioni di vita: dopo la morte di Stalin nel 1953, furono rilasciati lentamente e gradualmente. Gli ultimi a salutare la Russia lo fecero dieci anni dopo, nel 1963. Circa 60 000 di essi riuscirono a tornare in Lituania, mentre a 30 000 fu proibito di ristabilirsi in patria. Deportazioni analoghe avvennero in Lettonia, Estonia e altre repubbliche dell'Unione Sovietica. La Lituania commemora ogni anno la Giornata del lutto e della speranza il 14 giugno in memoria dei deportati.[6]

  1. ^ Tininis, p. 48.
  2. ^ Anušauskas (2005), p. 302.
  3. ^ (EN) Andrè Ravenskül Venås, Soul eater, Lulu.com, 2019, p. 391, ISBN 978-03-59-82737-4.
  4. ^ Vitalija Stravinskienė, Deportazioni di polacchi lituani: 1941–1952 [collegamento interrotto], su vdu.lt, pp. 2-3. URL consultato il 12 settembre 2020.
  5. ^ Anušauskas (2005), p. 289.
  6. ^ Festività lituane, su italietuva.com. URL consultato il 12 giugno 2020.

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